Quel pomeriggio di settembre portò con sé qualche
nuvola passeggera che regalò al paesino napoletano una lieve pioggia
autunnale. Davide, dopo il racconto di Laura, aveva deciso di passare
a casa di Enrico per provare a chiarire e capire cosa stesse
accadendo all’amico, così bussò alla porta della sua abitazione.
Ci bussò prima una, poi due, tre, quattro volte quando fu lo
stesso Enrico ad aprirgli.
- Ah sei tu. – lo accolse il ragazzo in
asciugamano
- Credevo non ci fosse nessuno, stavo per andare.
– spiegò Davide
- Ero sotto la doccia, i miei sono fuori. Hai
trovato il cancello del portone aperto? – chiese freddamente
Enrico
- La signora Bencivenga stava entrando con il
cane e mi sono accodato a lei. Fuori piove.
- Non me ne ero accorto.
- Non mi fai entrare?
Enrico spalancò la porta lasciando che l’amico
entrasse richiudendola poi alle sue spalle.
- Mi dispiace per l’altra sera. – cominciò
Davide – Ero molto preoccupato per Emma e non riuscivo a stare
tranquillo e a divertirmi.
- Sei stato tu che mi hai invitato lì e sei
stato sempre tu che mi hai chiesto di aiutarti, non credevo che
sarei rimasto solo come un imbecille tutta la serata altrimenti non
avrei accettato.
- Hai ragione e mi dispiace, ti chiedo scusa.
Il silenzio tra i due divenne imbarazzante. Fu
Davide che, dopo qualche secondo, prese nuovamente la parola.
- Stamane ho parlato con Laura, cosa è successo
ieri sera?
- Ah ecco perché sei venuto qui, non è per le
scuse quanto la curiosità di sapere. – ribatté con toni forti
Enrico - Mi sembrava strano, troppo strano, Davide che ha le palle
di venire fino a casa mia e dirmi di aver sbagliato.
- Sarei venuto da te comunque. Quello che è
successo con Laura ieri è stato solo un di più che mi ha spinto
qui.
- Quello che è successo ieri con Laura sono solo
affari miei!
A quelle parole Davide afferrò le spalle dell’amico
così da poter incrociare i suoi occhi.
- Cosa hai, Henry? Cosa ti succede? Tu sei il mio
migliore amico.
Lo sguardo di Enrico rimase impassibile, fisso in
quello di Davide quando freddamente gli rispose con un filo di voce.
- Non mi succede nulla. Ora devo vestirmi, ho un
appuntamento al giornale tra una mezz’ora.
Davide rimase completamente spiazzato da quella
freddezza, da quell’Enrico che si era trovato di fronte quel
pomeriggio e che non sembrava nemmeno lui, il suo amico di sempre. Si
voltò senza dire altro, sbattendo la porta dietro di sé e lasciando
il silenzio attorno ad Enrico, che, rimasto solo, poggiò la sua
schiena al muro scivolando lentamente in terra e coprendo il suo
volto con le sue braccia. Nel frattempo Carlotta era in villa
comunale quando la prima pioggia della stagione, che la costrinse a
rifugiarsi nel bar vicino, non abbandonava il cielo di Corzano.
Aspettava inquieta che spiovesse quando si accorse della presenza di
Kamal alla fermata dell’autobus a due passi dalla villa. All’arrivo
dell’A20, il pullman che portava in città, il ragazzo si apprestò
a salirvi e Carlotta fece di tutto per raggiungerlo. Ci riuscì per
il rotto della cuffia, si avvicinò a lui attraversando il corridoio
dell’autobus ormai completamente bagnata quando ancora col fiatone
irruppe al suo fianco.
- Kamal, ce l’ho fatta!
- Ma cosa hai combinato? Sei tutta fradicia. –
le disse lui sorpreso
- Ti ho visto alla fermata e volevo salutarti.
- Ma ci siamo visti stamattina e ci vedremo
domani in classe e poi se sale un controllore e ti trova senza
biglietto rischi anche la multa. Potevi rimanere dov’eri.
- Posso dirti una cosa Kamal? Sei proprio acido e
antipatico. – esclamò Carlotta premendo il tasto al suo fianco
per prenotare la fermata e poi recarsi presso la porta posteriore
del pullman scendendo dopo qualche secondo.
Kamal decise allora di raggiungere la compagna
seguendola.
- Carlotta!
- Cosa vuoi? – gli rispose lei rifugiandosi
sotto un balcone
- Scusami, hai ragione. A volte so essere davvero
insopportabile.
- A volte?!? Direi molto spesso. Caro Kamal il
fatto che intorno a te ci possano essere persone che ti giudicano
per la tua pelle, la tua religione o le tue abitudini non ti dà il
diritto di comportarti in questo modo con chiunque ti stia accanto,
compresi coloro che invece magari vogliono solo offrirti la loro
amicizia. Sei tu la prima persona che emargina te stesso in questo
modo!
- Ma cosa vuoi saperne tu di come sto?
- Ah certo, che ne posso sapere io che sono
semplicemente un’italiana, cattolica non praticante, che non
riceve scritte razziste sui muri? E’ questo che vuoi dire, no?
Intanto io ho cercato di fare di tutto per capire qualcosa di te, di
te Kamal-persona e lo avrei fatto anche se tu fossi stato un
signorino della Napoli alta con la puzza sotto il naso!
- Io non voglio crocerossine che per il puro
spirito di compassione soccorrono il povero ragazzino deriso.
- Tu non vuoi amici, Kamal, è diverso!
Così è a nuove amicizie che stai sbattendo la porta in faccia, non
a crocerossine. Io non ho compassione per te, sono solo delusa dal
tuo sguazzare nel ruolo di povera vittima!
Così Carlotta si allontanò arrabbiata e delusa.
Aveva creduto di farcela nell’aiutare Kamal a capire che non tutti
erano come quei ragazzi che lo deridevano o addirittura avevano paura
di lui, ma si convinceva sempre di più che probabilmente lui in
primis non sentiva il bisogno di conoscere persone che potessero
avere non altro che interesse nel gettare le basi di una buona
amicizia. In serata, invece, a casa Bellaria tutto era pronto per la
cena che avrebbe ufficializzato il rapporto tra Caterina e
Giacomo. I due erano alquanto nervosi, intimiditi, ansiosi ma anche
felici. I genitori di Caterina conoscevano Giacomo dai primi anni del
liceo e non erano affatto dispiaciuti del fatto che fosse un buon
partito, figlio di uno dei più noti e benestanti assessori di
Corzano. All’arrivo degli ospiti il sorriso era stampato costante
sul volto della madre di Caterina, mentre sorpreso e preoccupato
apparve quello del signor Bellaria. L’intraprendenza e l’ospitalità
della donna furono così contrapposte al mutismo e all’imbarazzante
assenza dell’uomo, mentre la madre di Giacomo era intenta a fare di
tutto affinché il figlio potesse essere fiero di lei. Sembrava
davvero che tutto proseguisse per il meglio tra i racconti delle
donne sull’infanzia dei figli e su episodi che appartenevano
all’adolescenza condivisa dei due ragazzi. A metà cena la madre di
Giacomo si allontanò verso il balcone per fumare una delle sue
irrinunciabili sigarette, mentre la signora Bellaria ne approfittò
per dare gli ultimi ritocchi alle portate che sarebbero seguite.
Caterina e Giacomo si scambiavano le proprie impressioni positive
sulla serata appartati sul divano quando il padre della ragazza si
diresse anche lui verso il balcone.
- Posso accendere da te? – domandò alla donna
che intanto rimase sorpresa dall’improvviso cambio di tono
dell’uomo che si rivolse a lei d’un tratto dandole del tu.