Nonostante le ore piccole fatte con Caterina la sera
prima, accompagnata a casa a notte inoltrata, Giacomo si alzò presto
quella mattina, optò per una doccia e poi si diresse di corsa al bar
per un cornetto e un cappuccino. Si sentiva vivo, sentiva di aver
finalmente trovato qualcosa per cui poter tornare a sorridere e
vivere serenamente. Suo padre aveva deciso di ricominciare una vita e
costruire una famiglia con un’altra donna quando lui aveva solo
cinque anni e per questo la madre era caduta in una forte depressione
cronica che ormai durava da anni. Il signor De Rosa aveva fatto di
tutto per recuperare il rapporto con suo figlio, ma inutilmente,
soprattutto da quando la sua nuova famiglia aveva visto
l’arrivo, a distanza di pochi anni, di due bambini, un maschietto e
una femminuccia, che Giacomo non aveva mai voluto vedere o anche solo
sentirne parlare. Era un pugno ogni giorno per lui vedere la madre
sfiorire, affogare in pillole antidepressive, incontri inutili con lo
psicologo, appassire su un divano tutta la giornata dormendo o
annegando in telepromozioni e programmi televisivi di cartomanti a
ricercare chissà quale risposta, quale rassicurazione. Caterina
apparve per Giacomo una delle cose più belle che gli si erano
presentate negli ultimi anni. Il ragazzo tornò a casa nel primo
pomeriggio con un sacchetto del pranzo che si era fermato a comperare
per lui e la madre al take-away sotto casa.
- Mamma ci sei? Mamma?!? – Giacomo si avviò
verso la camera della donna trovandola a letto ancora ad occhi
chiusi – Mamma sono le due del pomeriggio, dai alzati, ho portato
il pranzo. Mamma, mi senti? Stanotte mi sono addormentato alle
cinque e ancora dovevi tornare. Dove sei stata stanotte? Mamma …
- Giacomino … Giacomino mio, vieni qui,
Giacomino!
- Dimmi mamma, sono qua, dimmi!
- Ha chiamato tuo padre, Giacomino? – chiese la
donna sillabando con un filo di voce
- Mamma, sono quattordici anni che quell’uomo
non chiama in questa casa e tu lo sai bene. Ora ti vuoi alzare?
- Prendimi le pillole nella borsa, per favore, ho
bisogno delle pillole.
Gli occhi di Giacomo cominciarono a luccicare, dopo
tanti anni non era ancora riuscito a costruirsi una corazza nel
vedere la madre in quello stato. Si avvicinò alla sedia dove era
riposta la borsa con le lacrime agli occhi, la aprì, era lì il
flacone degli antidepressivi, era lì mezzo vuoto. Improvvisamente il
ragazzo si voltò verso la donna sbattendo le pillole contro il muro.
- Guardati allo specchio, mamma, guardati allo specchio, cazzo! – cominciò ad urlare – Sei un automa, non ti riconosco più, guardati! Ho detto guardati! – provò ad alzarla dal letto tirandola per il braccio cercando di incrociare i suoi occhi – Alzati, reagisci, sfogati, ma fa qualcosa! Meriti una vita normale, io merito una vita normale, una madre normale, che sia lei a svegliarmi la mattina, che si incazzi perché ho deciso di non iscrivermi all’università! Cazzo, mamma, cazzo! Guarda come ti sei ridotta per un pezzo di merda come quello!
La madre scivolò sul pavimento in lacrime e dopo
qualche secondo anche Giacomo si accasciò in terra abbracciandola
forte.
- Passerà, mamma, ti prometto che passerà, ma dobbiamo essere forti. Io avrò cura di te. – le sussurrò all’orecchio accarezzandole i capelli – Quell’uomo la pagherà per tutto il male che ci ha fatto e che ci sta continuando a fare!
In serata tutto era pronto per la festa organizzata
da Davide e Laura a casa di quest’ultima. La ragazza si era davvero
impegnata affinché tutto potesse essere perfetto, aveva distribuito
gli inviti a tutti i ragazzi del corso, un centinaio circa. Aveva
pensato lei alle bibite e ad un piccolo buffet, mentre Davide
si era occupato della musica con l’aiuto paziente di Enrico.
- Allora il nonno è a letto, gli ho messo sul
comodino quattro dvd de “La storia siamo noi”. –
esclamò Laura accogliendo Davide ed Enrico arrivati qualche minuto
prima - Le luci sono apposto, i tavoli anche … e io come sto? Vi
piace questo vestitino a fiori o è troppo appariscente? L’ho
preso oggi da Gilez, vi prego ditemi che vi piace.
- Stai benissimo, Laura! – sorrise Davide –
Capelli, vestitino, scarpe, collana: tutto perfetto! Ora la mia
preoccupazione è un’altra, se vengono tutti siamo rovinati, dove
li mettiamo?
- Ma dai, c’è una villa intera, al massimo si
distribuiscono tra la piscina e le camere! – sogghignò Enrico –
Ma Emma? Non doveva esserci anche lei? – chiese poi a Davide
- Non lo so! – sbuffò preoccupato – Ha il
telefono spento da oggi e a casa sua non risponde nessuno. E’
strano, mi ha detto che sarebbe arrivata nel secondo pomeriggio e
invece nulla, nemmeno un messaggino. Inizio a preoccuparmi!
- Davide, niente pensieri. – intervenne Laura –
Questa è una serata importante, via le preoccupazioni, è un
ordine! Vedrai che la tua amica sta bene. Ho fatto anche la mia
ipercalorica Kinder Delice, piena di cioccolato … non è una
torta, è un bimbo! Lo sento, questa è la serata giusta.
- Giusta?!? Per cosa? – chiese sgranando gli
occhi Enrico
- Per trovare l’uomo della mia vita. –
sospirò la ragazza – Bello come Matt Bomer, ricco come Briatore, e
poi affascinante, con belle mani, una bella voce come quella di Luca
Ward, avventuroso e impavido come Robin Hood e la ciliegina sulla
torta una centocinquantanove nera e una bella moto ultima
generazione …
- Amore mio, sveglia! Prendi fiato e esci dal
mondo dei sogni! – la interruppe Enrico con un sorriso diabolico
sul volto – Lo sai, vero, che con questi presupposti sei destinata
a rimanere zitella per i prossimi … diciamo centoventicinque anni?
In pochi minuti villa Perone cominciò a popolarsi.
Una cinquantina di persone accettò l’invito dei ragazzi,
l’atmosfera era davvero delle migliori, solo Davide non riusciva a
condurre la propria mente altrove, era molto preoccupato. Che fine
aveva fatto Emma?
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